|
Rispetto
per Mazzini Saviano merita un ringraziamento La presa di posizione
di Roberto Saviano a favore di Giuseppe Mazzini comporta una novità
importante nel panorama della cultura italiana vittima dal secondo dopoguerra
di cliché profondi e consolidati, dove liberali e socialisti avevano trovato un punto di intesa profondo
nell’ostracismo della figura del rivoluzionario italiano. Per Benedetto
Croce, Mazzini era meno “moderno” linguisticamente di Marx, per Togliatti,
più semplicemente e brutalmente, Mazzini era solo il precursore dell’odissea
fascista appena consumata. La manipolazione del pensiero mazziniano da parte
della Repubblica sociale ed il mazzinianesimo dichiarato di tanti gerarchi,
oltre a quello di Giovanni Gentile, fece il resto. Mazzini subì un processo
sommario e andava sepolto in fretta con l’esperienza politica ed ideologica
di Mussolini. Antonio Gramsci nei suoi scritti sul Risorgimento lo aveva
liquidato come irresoluto ed un inetto, il principale ostacolo sulla strada
dell’Unità nazionale che si sarebbe dovuta interamente a Cavour. “Se Mazzini,
non fosse stato Mazzini”, secondo il giudizio di Gramsci, l’Italia avrebbe
anche potuto avere una trasformazione profonda. Invece eccola precipitata nel
pantano. Anche un’ intelligenza indipendente come
quella di Alessandro Galante Garrone subiva tali influenze, tanto da ritenere
Mazzini arretrato sul piano sociale, incapace di comprendere le evoluzioni
comportate dalla lotta di classe. La formazione culturale dei rivoluzionari
italiani era meglio riporla in un confuso ed inetto pasticcione come Filippo
Buonarroti, che aveva preso sul serio persino quel ladro degenerato di
Babeuf. E si capisce: Buonarroti che aveva vissuto la grande rivoluzione
francese senza capire esattamente di cosa si trattasse, fu il perfetto trait
d’union con la nuova rivoluzione proletaria che si era realizzata ad est più
di cento anni dopo, alla quale volgeva uno sguardo di speranza persino
Gobetti. Mazzini, invece era solo più un pensatore fallito di un secolo
remoto. Ancora in occasione del centocinquantenario dell’Unità d’Italia la Rai si è rivolta a Bruno Vespa, per spiegarci che
Mazzini aveva avuto un ruolo minore nel compimento dell’unità nazionale e
Vespa che nei suoi libri tratta Mazzini peggio di Gramsci, ha ragione:
Mazzini questa unità nazionale l’ha subita, non l’ha realizzata. Se vogliamo,
Mazzini non ha compreso l’importanza della terza guerra d’indipendenza e
nemmeno della guerra di Crimea. Quando Cavour costruiva i legami con le
potenze occidentali per ritagliare uno spazio internazionale all’Italia
sabauda, Mazzini si preoccupava di vendere le cartoline di Garibaldi per
finanziare il movimento repubblicano in clandestinità. E nemmeno bastava tale
sforzo, perché c’erano repubblicani che gli contestavano il patto d’azione
con la monarchia o fremevano per prendere Roma al Papa, quando Mazzini
riteneva che non ce ne fossero le condizioni politiche. Nemmeno da morto
Mazzini è stato onorato, visto che il cadavere venne
imbalsamato dai capi repubblicani contro le sue disposizioni testamentarie e
poi trascinato in mostra per l’Italia come nemmeno le mummie di Lenin o di
Mao, che almeno vennero conservate nel chiuso di un museo. Sputare su Mazzini
è stata la cosa più facile del secolo scorso e come si vede anche in quello
attuale, solo per questo bisogna ringraziare Saviano che almeno nel suo
piccolo non lo ha consentito, non ha voltato le spalle da un’altra parte,
come pure la vulgata permette di fare comunemente a tanti intellettuali da
quattro soldi. Chi ha mai avuto voglia di difendere quel Mazzini, “teopompo”
come amava dileggiarlo Marx? Massima attenzione gli fu data ancora da Bettino
Craxi per paragonarlo ad Arafat e dare così contemporaneamente un colpo al
partito di Giovanni Spadolini, che aveva messo in crisi un suo governo, e un
altro agli ebrei che in Mazzini avevano trovato un amico fraterno. Tempi
lontani, in cui la lotta politica si faceva anche sul piano culturale,
rischio che oggi certo non corriamo. Anche per questa ragione Saviano merita
un ringraziamento. Roma, 7 gennaio 2015 |
|